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Divisi si vince? L'inverno freddo del sindacato

di Orazio Carabini

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9 gennaio 2009


Dal 1990 al 2008 la retribuzione media di un lavoratore dipendente, al netto dell'inflazione e delle tasse, è aumentata del 2,2 per cento. In questo periodo l'economia italiana è cresciuta poco e la produttività del lavoro ancora di meno, non c'erano torte da spartire. E poi, se l'Italia è stata ammessa da subito nel club dell'euro, lo si deve anche alla moderazione salariale che ha permesso di contenere l'inflazione. Insomma, dall'accordo sul costo del lavoro del 1993 in poi l'economia italiana ha guadagnato in stabilità.

Tuttavia il grande economista Paolo Sylos Labini, se fosse ancora vivo, si chiederebbe forse se questa strategia salariale non sia stata eccessiva, non abbia cioè permesso alle imprese, soprattutto quelle al riparo dalla concorrenza internazionale, di non doversi troppo impegnare sull'innovazione tecnologica e organizzativa. Avrebbe posto il problema ai sindacati, alle prese con un magro bilancio già prima che arrivasse la recessione: vinta la scommessa del contenimento dell'inflazione e, in parte, quella del riequilibrio dei conti pubblici, persa la scommessa della crescita e del miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori dipendenti. In un mondo dove, come fa notare Tiziano Treu, senatore del Partito democratico e autorevole giuslavorista, «i rapporti di potere sono cambiati un po' dappertutto a sfavore del sindacato».

La recessione è arrivata come una secchiata di acqua gelida su un corpo già intirizzito. Perché, quando l'economia non tira, il potere contrattuale del sindacato si riduce. A complicare il quadro si è poi aggiunta la rottura tra la Cgil da una parte, la Cisl e la Uil dall'altra. Innescata dalla riforma della contrattazione, che Cisl e Uil hanno condiviso con il governo e con le associazioni imprenditoriali, la divisione si è successivamente estesa a molti altri fronti, dall'avviso comune sul fisco a quello sulla partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese. Tranne uno: i numerosi contratti di settore firmati da Cgil, Cisl e Uil, con la non trascurabile eccezione di quello dei meccanici che è stato siglato solo da Cisl e Uil.

«È una divisione di strategia, nient'affatto epidermica – osserva Treu – e per il sindacato è un vero disastro perché lo indebolisce». Un'opinione che il segretario della Uil Luigi Angeletti non condivide. «Il fatto di non essere uniti – spiega – è del tutto indifferente. Nelle fasi di stagnazione o di trasformazione tecnologica il potere contrattuale dipende più dalla qualità delle idee che dalla massa critica». E fa un esempio: «Alla fine degli anni 70 i sindacati erano uniti, eppure hanno perso alla Fiat (dopo la marcia dei 40mila, ndr) perché allora non avevano la cultura adatta a capire quello che stava succedendo». Nemmeno il segretario della Cisl Raffaele Bonanni ritiene che la divisione indebolisca il sindacato. «Semmai –spiega – si è indebolita l'idea di un sindacato che gioca partite non sue. E oggi siamo ancora più autonomi di prima perché ci sentiamo inseriti in un contesto dove si fa solo sindacato, si cercano accordi per migliorare».

Secondo Cisl e Uil, è stata la Cgil a scegliere di isolarsi non firmando l'accordo con la Confindustria e le altre associazioni sul nuovo modello contrattuale. Al suo interno – dicono – c'è chi considera il contratto nazionale come uno strumento per misurare i rapporti di forza politici e non accetta che venga modificato. Sebbene sia una parte minoritaria, guidata dalla Fiom, condiziona il vertice. Che preferisce non scegliere e cerca di esercitare un diritto di veto. Come cinque anni fa quando, con Luca Cordero di Montezemolo presidente della Confindustria, il tavolo sulla riforma dei contratti saltò poco dopo il suo avvio proprio per l'opposizione della Cgil. «Anche nel 1993 – ricorda Angeletti – la maggioranza della Cgil era contraria a sottoscrivere l'accordo sul costo del lavoro. Bruno Trentin lo firmò assumendosene la responsabilità ma poi rassegnò le dimissioni».

Naturalmente quella che racconta Guglielmo Epifani, segretario della Cgil, è un'altra storia. «Prima di tutto – dice – sono soddisfatto di come il sindacato sta gestendo questa recessione. È vero che il potere contrattuale si riduce ma noi abbiamo lavorato per stare vicini alle persone e la compostezza di tutte le proteste è anche frutto di questo atteggiamento. Certo, non è un momento facile. Il governo è un fattore di difficoltà perché non discute, è autoreferenziale con il sindacato così come lo è con il Parlamento. E invece di organizzare tavoli di confronto con tutte le organizzazioni chiama di nascosto la Cisl e la Uil per far passare le sue proposte».
E qui si torna alla divisione. «Non c'è dubbio – commenta Epifani – che la crisi imporrebbe di stare uniti ma ci sono delle divergenze tra le quali quella sul modello contrattuale è la più rilevante». Il segretario della Cgil rimane convinto che quello concordato nel gennaio scorso non vada bene. Giudica insoddisfacenti le modalità di recupero dell'inflazione, il depotenziamento del contratto nazionale, l'aleatorietà della contrattazione di secondo livello.
  CONTINUA ...»

9 gennaio 2009
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